Lettera 98 pubblicata il 30 gennaio 2018

La Messa di Paolo VI: una forma rituale senza forma?

La riforma liturgica di Paolo VI, elaborata nel contesto teologico e delle mentalità religiose della fine degli anni sessanta, non è riuscita in alcun modo a rispettare le sue ottimistiche promesse. Ma se molti concordano sul fatto che questa riforma in larga parte non sia riuscita, pochi in realtà ritengono che se ne possa fare un bilancio realistico. Da parte nostra, abbiamo puntualmente proceduto ad un'analisi critica di alcuni dei rituali modificati da questa riforma: quello del battesimo (vedi la nostra lettera dell'edizione francese n. 413), quello della cresima (vedi la nostra lettera dell'edizione francese n.471), e quello dei funerali (vedi la nostra lettera dell'edizione francese n.443).

Nelle pagine che seguono riportiamo una nostra disanima del cuore stesso della riforma, la messa promulgata con la costituzione apostolica Missale romanum del 3 aprile 1969. Importanti personalità lo hanno già fatto prima di noi, a cominciare dai cardinali Ottaviani e Bacci nel loro Breve esame critico del Novus Ordo Missæ nel 1969 (http://www-maranatha-it.blogspot.fr/2010/01/breve-esame-critico-del-novus-ordo.html) ma ci è parso opportuno cercare di dare un nuovo contributo a queste analisi, ora che la riforma sta per compiere mezzo secolo di vita.

A questo dedicheremo una serie di tre lettere, prendendo in esame sia l'aspetto rituale, o, per meglio dire, a-rituale, del nuovo messale, che è l'oggetto della prima lettera, sia il suo contenuto vero e proprio. Poiché l'esame del nuovo messale fa in primo luogo emergere un aspetto cerimoniale assolutamente stupefacente: se la si paragona alla liturgia precedente o alle altre liturgie cattoliche (quelle orientali o quella ambrosiana), la nuova messa romana non è più veramente un rito. È come una forma senza forma.

Nel corso dell'Antichità cristiana, l'insieme rituale del cattolicesimo si era organizzato a partire dal comandamento di Cristo, “Fate questo in memoria di me!”, e dalle cerimonie di frazione del pane delle comunità apostoliche. Tra il VI e il XII secolo, gli ordines romani, testimoniano del considerevole sviluppo del mondo cerimoniale nel corso della tarda antichità e dell'alto Medio Evo, parallelo a quello del ricco patrimonio della catechesi patristica delle stesse epoche. Questa eredità, trasmessa dal Medio Evo monastico e dalle cattedrali, fu preziosamente raccolta dalla Roma della Controriforma. Avendo una precisa consapevolezza del fatto che la liturgia, e in particolare quella romana, veicoli una traduzione concreta del dogma nei sacramenti e nella preghiera (lex orandi, lex credendi), una delle specificità dell'epoca tridentina, fu, nel campo del culto, la chiarificazione e la canonizzazione dell'Ordo, ovverosia del preciso svolgimento delle cerimonie.

Nel XX secolo, un movimento doppio di “ritorno alle origini”, ovverosia di un supposto recupero delle forme antiche della liturgia, tolte le “aggiunte” e i “carichi” posteriori, e di adattamento ai tempi attuali, ha attaccato il “fissismo” delle regole liturgiche contemporaneamente al “fissismo” delle formulazioni dogmatiche. La cura meticolosa con la quale i libri liturgici tradizionali regolavano la liturgia nelle loro rubriche (con le indicazioni relative all'ordinamento delle cerimonie scritte con lettere rosse, rubrae) da quel momento apparve come totalmente desueta. L'esplosione avvenne in pochissimo tempo. La creatività debordò a partire dalle prime tappe della riforma conciliare della messa: la creatività dei vertici (la Commissione per l'Applicazione della Costituzione sulla liturgia) fu moltiplicata da quella della base, come è ben illustrato dai famosi "nuovi preti" di Michel de Saint-Pierre (Milano, Edizioni del Borghese, 1964). Le modificazioni continue che si sovrapposero dal 1964 (istruzione Inter oecumenici) al 1968, pensiamo alle “rubriche del 1965”, immediatamente sorpassate da quelle del 1967 (istruzione Tres abhinc annos), dettero l'impressione che in materia liturgica tutte le norme fossero da considerarsi evolutive. E poi arrivò il messale del 1969 che polverizzò letteralmente l'universo rituale antico.

I – Un universo rituale polverizzato

Passare da un messale all'altro, dal punto di vista delle regole da seguire, diede una sensazione suggestiva: un altro mondo. Al posto dei gesti e degli atteggiamenti del corpo strettamente determinati da un uso immemorabile, le nuove rubriche non sono altro che indicazioni, spesso semplici proposte, piuttosto generiche. Al punto che l'apprendimento della messa, che ha una grande rilevanza nella formazione dei sacerdoti che celebrano la liturgia tradizionale, non esiste più nei seminari nei quali si insegna la messa di Paolo VI. Succede dunque al rito così come al significato trasmesso dalle traduzioni dei testi: una certa libertà personale è considerata legittima e l'indeterminatezza che risulta non ha grande importanza, anzi, può considerarsi auspicabile, per meglio "attenersi alla vita reale".

Prendiamo come esempio soltanto l'inizio della celebrazione della messa:

a) I gesti

- Nel messale tradizionale: “... (Il Sacerdote) quindi sale al centro dell’altare, dove sistema il Calice dal lato del Vangelo, estrae il Corporale dalla Borsa, e lo stende al centro dell’altare, e colloca sopra questo il Calice coperto dal Velo, e la Borsa al lato del Vangelo, (…) Il Sacerdote essendo in primo luogo disceso presso l’ultimo gradino dell’Altare si gira verso di esso, dove stando nel mezzo, con le mani giunte davanti al petto, con le dita parimenti stese ed unite, ed avendo il pollice destro posto sul sinistro in modo da formare una croce (ciò si osserverà sempre quando le mani sono giunte, eccetto dopo la Consacrazione), con il capo scoperto, fatto profondo inchino alla Croce o all’Altare, o se su di esso vi è il Tabernacolo con il Santissimo Sacramento, la genuflessione, stando in piedi inizia la Messa. (...) Mentre dice:Aufer a nobis, ecc., il celebrante a mani giunte sale l'altare, nel mezzo, e lì inchinato, sempre con le mani giunte appoggiate sull’altare, in modo che le punte dei mignoli tocchino la parte anteriore e le falangi degli anulari la parte superiore della tavola o mensa dell’altare, con il reso della mano dritta tra se e l’altare, tenendo il pollice destro incrociato sul pollice sinistro (e fa sempre così quando deve appoggiare le mani giunte sull'altare), dice in segreto:Oramus te, Domine, etc.,e mentre dice: Quorum reliquiae hic sunt, bacia l'altare nel mezzo, tenendo le mani allargate allo stesso modo di qua e di là e poste sopra di esso (…) Alla messa solenne (…) il celebrante mette tre volte l'incenso nel turibolo, mentre dice: Ab illo benedicaris, ecc., e deposto il cucchiaino, tracciando con la mano destra un segno di croce sopra l'incenso nel turibolo, lo benedice.”

- Nel nuovo messale: “Il sacerdote accede all’altare e lo venera con il bacio. Poi, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare, girandogli intorno. Fatto questo, il sacerdote si reca alla sede. Terminato il canto d’ingresso, tutti, sacerdote e fedeli, rimanendo in piedi, fanno il segno della croce.”

b) Le parole

- Nel messale tradizionale: “Stando allora il Celebrante davanti all’ultimo gradino dell’Altare, come sopra, facendo un segno di croce con la mano destra dalla fronte al petto, dice con voce intelligibile: In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen. (…), congiunte di nuovo le mani davanti al petto, pronuncia a voce distinta l’Antifona: Introibo ad altare Dei. Il Ministro poi genuflesso dietro di lui, alla sua sinistra, e alla Messa solenne i Ministri posizionati da una parte e dall’altra, proseguono: Ad Deum, qui laetificat juventutem meam. Quindi il Sacerdote stando nello stesso modo inizia, e prosegue alternativamente con il ministro o con i ministri il Salmo (42): Judica me, Deus, fino alla fine, con il Gloria Patri. (…) Mentre dice: Aufer a nobis, ecc. (Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità affinché possiamo entrare con anima pura nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore, amen), il celebrante a mani giunte sale l'altare (…) sempre con le mani giunte appoggiate sull’altare (…) dice in segreto: Oramus te, Domine, ecc (Noi Ti preghiamo, o Signore: per i meriti dei tuoi Santi le cui reliquie sono racchiuse in questo altare, e di tutti i Santi, perdona tutti i miei peccati. Amen). Alla messa solenne, se non è una messa dei defunti, il celebrante, prima di cominciare l'antifona dell'introito, benedice l'incenso dicendo: Ab illo benedicaris, ecc.”

- Nel nuovo messale: (dopo che il sacerdote ha baciato l'altare, e, secondo l’opportunità, incensato la croce e l'altare, e terminato il canto d’ingresso) “Il sacerdote dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; il popolo risponde: Amen. Poi, rivolto al popolo, e allargando le braccia, il sacerdote lo saluta con una delle molteplici formule proposte (“La grazia del Signore nostro Gesù Cristo”, “la grazia e la pace di Dio nostro Padre”, “il Signore sia con voi”, oppure una di altre quattro formule). Egli stesso o un altro ministro può anche introdurre brevemente i fedeli alla Messa del giorno. Segue l’atto penitenziale”, secondo tre diverse formule nelle loro rispettive varianti. Si ha dunque l'invito alla penitenza del sacerdote ai fedeli, per esempio, con le parole: “Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati ”, a cui segue la confessione nelle varianti:

1. “Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, ecc.”

2. “Pietà di noi, Signore, ecc.”

3. “Signore, mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore, ecc.”

II . La moltiplicazione dei libri scelti

Osserviamo dunque opzioni che si incrociano e scelte che si moltiplicano. Cosa che è confermata dal seguito della celebrazione:

a) Durante la liturgia della parola, alla fine della prima lettura, si può “se è il caso”, osservare un momento di silenzio. La seconda lettura non è obbligatoria. Il canto di acclamazione al Vangelo è abitualmente l'Alleluia. Si può decidere se incensare e portare dei ceri per il Vangelo.

b) La professione di fede, il Credo, si fa con il Simbolo niceno-costantinopolitano oppure con il Simbolo "degli Apostoli".

c) La preghiera universale ha dieci introduzioni possibili, che non escludono l'utilizzo di altre eventuali formule, e di nove preghiere di conclusione, ma ci si può anche ispirare alla preghiera universale del Venerdì Santo o ad altre preghiere.

d) La presentazione delle offerte all'altare (e di altri doni destinati a sostenere i bisogni della Chiesa e dei poveri) può essere organizzata liberamente. Il sacerdote dice a voce alta o bassa le parole di presentazione: “ Benedetto sei tu Signore, Dio dell'universo, ecc.”, alle quali il popolo può rispondere con un'acclamazione: “Benedetto nei secoli il Signore”.

e) Mentre a partire dall'Antichità, la tendenza della liturgia romana, e anche degli altri riti, era stata indirizzata all'unificazione dei testi costituenti il cuore della messa, certamente per della ragioni di ortodossia, i nuovi prefazi sono invece talmente tanti da essere difficili da enumerare: quarantasei per il temporale, dieci per il santorale, tredici per i comuni dei santi, le messe dei matrimoni, le professioni religiose, le messe votive.

f) E, soprattutto, mentre la preghiera eucaristica che introduceva i prefazi era (ed era senza dubbio sempre stata) unica, le preghiere eucaristiche sono ormai dieci, considerando la V in quattro varianti, più tre preghiere, dedicate alle messe dei fanciulli ed altre particolari. Si hanno dunque: Le quattro principali, di cui la prima è il canone romano; due per la riconciliazione; tre per le messe dei fanciulli; e altre quattro per varie necessità. Queste ultime hanno i propri rispettivi quattro diversi prefazi: Va, Dio guida la sua Chiesa; Vb, Gesù nostra via; Vc. Gesù modello di amore; Vd. La Chiesa in cammino verso l'unità, a cui corrispondono quattro preghiere di intercessione (l'equivalente del Te igitur del canone romano) collocate nella seconda parte della preghiera, dopo la consacrazione, come nelle preghiere eucaristiche II, III, IV. Ma ne esistono anche altre, dato che alcune conferenze episcopali, in particolare in occasione di avvenimenti particolari, hanno chiesto l'approvazione di preghiere eucaristiche specifiche.

g) La consacrazione è seguita da tre acclamazioni a scelta.

h) L'introduzione al Pater ha due varianti, ma se ne possono avere anche altre. Il segno di pace si manifesta secondo i costumi locali. Due preghiere a scelta del sacerdote seguono l'Agnus Dei.

i) La benedizione del popolo può essere impartita anche in un modo solenne con ventisei introduzioni in tre parti, scandite tutte da tre Amen.

La confusione delle lingue volgari

L'esplosione del rito è resa ancora più manifesta dalla sparizione del latino. La valutazione del numero di traduzioni in lingue e dialetti nei quali si celebra oggi la liturgia, detta ancora curiosamente liturgia latina, è di 350/400 (la stessa Congregazione per il Culto divino non arriva a dare un cifra esatta). Queste traduzione sono state realizzate sull'impulso delle conferenze episcopali nazionali e approvate dalla Congregazione per il Culto divino. In effetti, un'istruzione del 25 gennaio 1969 apriva le porte ad una grande libertà, in particolare per quanto riguarda le realtà “che scioccano l'attuale senso cristiano”, l'attualizzazione del contenuto delle orazioni, con un invito a creare nuovi testi. Un certo movimento di restaurazione si è poi dedicato alla rettifica delle traduzioni insufficientemente conformi alle edizioni latine (istruzione Liturgiam authenticam, del 28 marzo 2001), ma con dei risultati che possiamo definire insignificanti, tranne, forse, nel mondo anglofono.

Le Conferenze episcopali hanno quindi preso delle considerevoli libertà, la più nota delle quali è stata la traduzione del pro multis (sangue versato "per molti") della consacrazione del Preziosissimo Sangue, tradotto for all, pour tous, für alle, "per tutti" , o quello del consubstantialem del Credo in "della stessa natura". Libertà che, in un certo numero di casi, servivano gli scopi dell'inculturazione della liturgia (istruzione instruction Varietates legitimæ, 25 gennaio1994). Così in Cina, a causa dell'obbligatorietà dei riti nazionali, a partire dal 15 febbraio 1972 si sono celebrati gli antichi riti di ispirazione confuciana in onore degli antenati defunti. In Zambia si soppresse la pratica di mescolare acqua e vino con il pretesto che non aveva fondamento biblico, mentre, all'epoca dell'eresia monofisita, tutto ciò era già stato condannato dal concilio di Firenze, essendo l'acqua il simbolo dell'umanità di Cristo. Il rito zairese, adattamento congolese del rito romano, promosso dal cardinale Malula, arcivescovo di Kinshasa, fu approvato nel 1988, con invocazione degli antenati, preparazione penitenziale fatta prima dell'offertorio, dialoghi tra sacerdote e popolo, gesti e movimenti ritmati.

Si può certamente denunciare ciò che chiamiamo “abusi” dei celebranti, quando fanno totalmente a modo loro, ma, in effetti, la nuova liturgia è intrinsecamente aperta alla creatività. Visto che il nuovo messale prevede che il sacerdote saluti dicendo “per esempio” una certa formula, esso è dunque invitato dal libro stesso ad una scelta personale. L'inserimento, da parte di ciascun ministrante di moniti e di commenti personali, che questa nuova modalità di culto, non dando alcun tipo di divieto, addirittura ricerca, diventa di fatto naturale. La lingua vernacolare, d'altra parte, conduce l'attore liturgico ad una “interpretazione” personale del testo che pronuncia, il tutto con le migliori intenzioni pastorali del mondo. I tentativi di restaurazione iniziati a partire dal 1985, oltre ad essere stati, e ad essere, assolutamente aleatori, si scontrano con questo carattere fluido e “vivente” della messa nuova.

La messa nuova, lex orandi?

Il famoso adagio: lex orandi, lex credendi, “la legge della preghiera regola la legge della fede”, si spiega con il fatto che tutti gli elementi della disciplina universale della Chiesa romana sono, per ciò che contengono in materia di fede e di morale, una delle espressioni del magistero ordinario e universale: la Chiesa di Pietro non può indurre in errore i fedeli per la maniera nella quale gli chiede di pregare. Questa espressione di una fede unica richiede naturalmente una certa canonizzazione (1) dei mezzi che la veicolano.

Certo, l'esplosione rituale della riforma è secondaria rispetto alla modificazione del contenuto stesso del messaggio, argomento che studieremo nelle prossime due lettere. Ma, in un contesto generale, quello del maggio 1968, di relativizzazione della regola dogmatica, quest'abbandono, da parte della Chiesa latina, del suo universo rituale tradizionale ha contribuito largamente ad indebolire il carattere del culto come veicolo della professione di fede romana. Questa nuova soggettività, manifestata da quella del rito, pone dei problemi dal punto di vista del rigore del valore dottrinale delle nuove cerimonie.

Ci sia permesso di formulare la seguente ipotesi: al carattere “pastorale”, ovverosia non propriamente dogmatico (infallibile) del concilio Vaticano II, corrisponde un carattere “pastorale” della nuova liturgia che ne è derivato, nella misura in cui quest'ultima non pretende di veicolare una regola suprema della fede attraverso la preghiera. Semplicemente perché non cerca di essere, nel senso più profondo del termine, una legge di preghiera, una lex orandi.


NB: Questo articolo è la traduzione in italiano della nostra lettera francese 616 che, per le citazioni, si riferiva all'edizione francese del messale. Abbiamo cercato di adattare gli esempi riportati alle specificità della situazione italiana, per alcuni versi più fedele all'editio typica.

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(1) Nel senso di codificazione