Lettera 74 pubblicata il 12 dicembre 2015

L'Istituto del Buon Pastore torna a Roma

Nato nel 2006 dall'incontro fra sacerdoti formati ad Écône e Sua Eminenza il cardinale Castrillón Hoyos, allora Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, l'Istituto del Buon Pastore ha appena aperto una casa sacerdotale a Roma.

L'apertura di questa casa, inaugurata solennemente nel giorno della festa di San Clemente, il 23 novembre, in presenza delle Loro Eccellenze Mons. Guido Pozzo e Mons. François Bacqué e di don Philippe Laguérie, Superiore dell'Istituto, è stata resa possibile dalla nomina di don Matthieu Raffray come professore di filosofia alla Pontifica Università San Tommaso D'Aquino, l'Angelicum.

A dire il vero, non è la prima volta che l'IBP si insedia a Roma ma ora l'Istituto ha superato le sue difficoltà iniziali e non poteva non essere presente ad Petri Sedem, dove intende sin dalla sua nascita radicarsi così come dimostra la partecipazione regolare di vari suoi seminaristi al pellegrinaggio internazionale del popolo Summorum Pontificum a Roma.

Siccome la presenza di nuovi sacerdoti idonei alla celebrazione della forma straordinaria del rito romano in Italia non può che rallegrarci, abbiamo chiesto a don Matthieu Raffray e a don Giorgio Lenzi che lo accompagna di aggiornarci sullo sviluppo dell'IBP, sull'apertura della Casa San Clemente e sui loro progetti in Italia.



1) Quali sono i dati dell'IBP? Quanti sacerdoti e seminaristi siete? In quali paesi siete presenti?


Don Matthieu Raffray (a destra sulla foto, in compagnia di uno dei vescovi ausiliari di Brasilia,) è anche superiore dell'IBP per l'America latina.

Don Matthieu Raffray: L’Istituto del Buon Pastore conta attualmente circa una trentina di sacerdoti, la cui maggior parte esercita il proprio ministero in Francia (nelle diocesi di Chartres, Bordeaux, Blois, Le Mans, Meaux, Versailles, Parigi e Marsiglia), ma anche in America Latina (a Bogotà, San Paolo e Brasilia), in Polonia (Białystok) e da quest’anno a Roma. Ci sono poi altri seri progetti di insediamento (in America Latina, ma anche in Africa, in Nord America e nell’Europa dell’Est), alcuni dei quali dovrebbero vedere la luce di qui a breve. Le richieste sono molto numerose in tutto il mondo, e non è facile rispondervi: la messe è abbondante, e gli operai sono pochi! Comunque, abbiamo al momento circa 40 seminaristi in formazione: il futuro si preannuncia dunque buono, anche se bisogna procedere lentamente e non disperdersi troppo: vogliamo privilegiare soprattutto la serietà e le esigenze della formazione dei nostri seminaristi, l’unità della comunità, come pure la vita comune dei nostri sacerdoti. Sono queste le condizioni di un apostolato solido e veramente conforme al nostro carisma tradizionale, liturgico e dottrinale.
L’Istituto del Buon Pastore è stato fondato nel 2006. Siamo dunque prossimi ai dieci anni di vita (li festeggeremo a Roma l’anno venturo). Dopo un inizio movimentato, inevitabile per tutte le realtà di nuova fondazione, e la crisi istituzionale che abbiamo subito nel 2012, si può dire che attualmente abbiamo raggiunto la stabilità necessaria per uno sviluppo florido e sereno. Rendiamone grazie a Dio!
Quello che è più rassicurante ed incoraggiante, è vedere che – salvo eccezioni ideologiche – i vescovi percepiscono sempre più come il nostro carisma, l’esclusività della messa Tridentina ed una critica teologica positiva delle riforme moderne, possono essere messe a servizio della Chiesa, e costituire anche un atout importante in una diocesi. Questo carisma soddisfa, in effetti, una reale aspettativa di alcuni fedeli, ma anche una dinamica dell’evangelizzazione: il nostro attaccamento alla Tradizione non è uno sguardo nostalgico rivolto al passato, è, al contrario, la condizione indispensabile per una nuova evangelizzazione che sia veramente ancorata a Gesù Cristo nella Sua Chiesa.
L’apertura di una nuova casa a Roma è il segno di questo sviluppo pacifico della tradizione e del nostro attaccamento all’essere al servizio della Chiesa.


2) Perché avete scelto San Clemente come patrono della vostra casa romana?

Don Giorgio Lenzi:
Abbiamo scelto di porre la nuova casa dell’Istituto sotto la protezione ed il patronato di san Clemente, papa e martire, per differenti ragioni; credo fosse importante trovare un patrono legato alla storia universale della Santa Chiesa ma anche che fosse caratteristico dell’antichità cristiana qui a Roma… inoltre si tratta di uno dei primi successori del Principe degli Apostoli; egli sacrificò la propria vita per la Chiesa ed il santo Vangelo, ideale che vogliamo fare nostro: San Clemente è stato un Buon pastore e vogliamo seguire il suo esempio! Inoltre don Matthieu ed io siamo affascinati dalla bellezza e purezza artistica, liturgica e spirituale della splendida Basilica di san Clemente che non è poi troppo lontana materialmente dal nostro quartiere.


Don Giorgio Lenzi durante il pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum 2015.


3) La romanità è un elemento essenziale del carisma dell'IBP: che cosa rappresenta per voi in assoluto e nell'epoca particolare che attraversiamo?

Don Matthieu Raffray:
Ogni cattolico è necessariamente attaccato a Roma, sede di Pietro. E questo attaccamento non è puramente teorico, ma deve concretizzarsi nella gerarchia ecclesiastica, che trasmette al sacerdote una missione ricevuta dalla Chiesa. Il sacerdote che si separasse da questa gerarchia (salve eccezioni, necessariamente limitate localmente e per un tempo strettamente determinato) sarebbe un mercenario che lavora per suo conto, e non un pastore del gregge di Gesù Cristo. Il nostro Istituto, collocato provvidenzialmente sotto il patronato di Cristo “Buon Pastore”, vuole precisamente ritrovare questo senso del bene comune: il ruolo del pastore non è sedurre le pecore per appropriarsene – e insegnare loro una dottrina sua propria; è, al contrario, condurle a Gesù Cristo, insegnando nient’altro che la fede cattolica, atemporale, immutabile, trasmessa infallibilmente a partire da Cristo stesso sino ad oggi. È questo, in una parola, il mistero della Chiesa: per appartenere al corpo di Cristo, bisogna accettarne l’aspetto umano, le debolezze e, talora, anche gli sfregi. Troppi falsi pastori, “lupi travestititi da agnelli”, attualmente sfigurano e sporcano, con le loro azioni indegne e le loro nuove dottrine, la Santità dell’insegnamento di Cristo. Essere “buoni pastori”, al contrario, significa aiutare i fedeli a ritrovare la fierezza e l’onore di essere cattolici, fedeli di Gesù Cristo, e, dunque, romani senza compromessi. La nostra presenza a Roma rappresenta questo amore per la Chiesa, quale ne sia il prezzo.


4) Potete presentarvi l'uno e l'altro ai nostri lettori? Le vostre origini? Le vostre vocazioni? Il vostro percorso sacerdotale?

Don Matthieu Raffray:
La mia famiglia è sempre stata molto attaccata alla tradizione. Già mio nonno paterno, a Saint-Brieuc, aveva fatto appello a Mons. Lefebvre, all’inizio degli anni 70, per conservarvi la messa tridentina. Mia madre, che è messicana, è da parte sua erede di tradizioni cattoliche ancor oggi molto vive, di una fede molto profonda, assai lontana da tutti i compromessi dei nostri paesi di antica identità cristiana. Quanto a me, sono il terzo nato di una famiglia di 9 bambini; siamo sempre stati educati nella fede cattolica, la preghiera in famiglia, il rispetto per i sacerdoti e le autorità della Chiesa, il senso cristiano del compimento del proprio dovere e della fedeltà agli insegnamenti ricevuti. Ne ringrazio con tutto il cuore i miei genitori, giacché sappiamo quanto sia difficile, oggigiorno, educare una famiglia cristiana.
Quanto alla mia vocazione, è piuttosto intellettuale, potrei dire. Anche se è nata nella mia prima giovinezza, mi si è imposta durante i miei studi di matematica e di filosofia all’università: la scoperta di S. Tommaso d’Aquino è stata una tappa decisiva, nel senso che ho preso coscienza del potere di una giusta intelligenza della fede. La nostra fede non è sentimentale, è ancorata alla ragione, è giustificabile, difendibile, la sola ragionevole perché essa sola corrisponde alla natura dell’uomo e alla sua esigenza di razionalità.
Dalla mia ordinazione, a Sant’Anna d’Auray nel 2009, mi sono dunque consacrato principalmente allo studio (ho ottenuto una licenza canonica – master – in teologia presso i Domenicani di Tolosa, poi un dottorato in filosofia alla Sorbona) e all’insegnamento, presso seminaristi e diversi gruppi di fedeli. È mia convinzione che sia giunto il tempo che i “tradizionalisti” prendano sul serio la difesa e lo sviluppo dei loro argomenti, che entrino nel combattimento intellettuale che infuria nella Chiesa da decenni: il nostro attaccamento alla Tradizione deve essere prima di tutto dottrinale, ed è proprio questo tesoro che dobbiamo, più di ogni altra cosa, rendere alla Chiesa stessa!

Don Giorgio Lenzi: Si tratta di domande che mi sono spesso rivolte e che necessitano di lunghe risposte arricchite di numerosi episodi ed aneddoti! Sono nato in Sardegna sull’isola di sant’Antioco da una famiglia cattolica praticante; per semplificare dirò che ho desiderato servire il Signore dal giorno della mia Prima Comunione… ho conservato ed intrattenuto questo germe di vocazione fino a riuscire ad entrare in seminario minore a 13 anni qui a Roma; ho servito, negli anni delle medie e del liceo, numerose funzioni liturgiche a San Pietro in Vaticano (per esempio a Giovanni Paolo II, all’allora Cardinal Ratzinger, a Cardinali come Noé e Deskur… altri lo sono diventati più tardi come De Magistris, Sardi e Brandmuller ed altri lo diventeranno un giorno, a Dio piacendo, come le loro Eccellenze Mons. Sciacca o Mons. Gänswein); di questi anni conservo un ricordo bellissimo e tutte queste belle esperienze nella Fede mi hanno sicuramente arricchito nonché sostenuto nella mia vocazione.
Di indole conservatrice, ho scoperto piano piano, da solo, la ricchezza della liturgia tradizionale con tutto il suo bagaglio dottrinale, comprendendo presto che la formazione proposta dal seminario regionale sardo non corrispondeva assolutamente al mio ideale di sacerdozio. Ho incominciato a cercare prendendo contatto con delle realtà tradizionali e mi sono indirizzato infine, con la decisione e l’ardore tipico degli anni della gioventù, alla Fraternità san Pio X. Vi ho trascorso più di tre anni, ma il tempo che passava e le speranze del pontificato del grande Benedetto XVI nonché la fondazione dell’Istituto del Buon Pastore mi hanno portato a lasciare una situazione canonica irregolare e divenire membro dell’IBP. Sono stato ordinato a giugno del 2012 e dopo tre anni di apostolato "attivissimo" nella nostra parrocchia personale a Bordeaux, oggi incomincio questa nuova avventura romana.


5) Don Giorgio, l'abbiamo vista partecipare al servizio liturgico dell'ultimo pellegrinaggio internazionale del Popolo Summorum Pontificum, in particolare in Santa Maria in Campitelli per la Santa Messa celebrata da Sua Ecc.za Mons. Guido Pozzo: possiamo chiederle le sue impressioni su un tale evento?

Don Giorgio Lenzi:
Per me è sempre una gioia di servire il Signore nelle Sacre Funzioni e nella Liturgia, ma ancora di più lo è stato in occasione delle varie funzioni del pellegrinaggio Summorum Pontificum. Ho avuto veramente l’impressione che la liturgia tradizionale, e tutto ciò che essa comporta è viva ed è amata! Il grande concorso di popolo e la bellezza liturgica e musicale di queste cerimonie deve riempire i nostri cuori di tanta consolazione nelle difficoltà della vita cristiana di oggi.


6) Don Matthieu, non è tutti giorni che un sacerdote tradizionale insegna in una pontificia università: può dirci come è stato accolto all'Angelicum, sia dagli altri docenti che dagli studenti?

Don Matthieu Raffray:
A dire il vero, è stata soprattutto la Provvidenza che ha operato nella mia nomina quale professore di filosofia all’Angelicum. Dopo la discussione della mia tesi e l’ottenimento del mio dottorato alla Sorbona, il decano della facoltà di filosofia, un domenicano che avevo incontrato durante i miei studi, mi ha proposto questo incarico molto semplicemente perché cercavano un professore diplomato. Don Laguérie ci ha visto subito l’occasione di mettere in atto il nostro carisma sotto questo profilo intellettuale, per la formazione di buoni sacerdoti alla scuola di San Tommaso d’Aquino: è anche questo, difendere e diffondere la Tradizione (in questo caso intellettuale) nella Chiesa e al suo servizio!
Devo dire che sono stato accolto molto bene in questa Università, sede di alto livello della teologia domenicana e, dunque, della scuola tomista. La cosa più entusiasmante, a dire il vero, è partecipare ad un’opera di rinnovamento che va ben oltre i corsi che io stesso possa tenere. In queste Università Pontificie si trovano seminaristi e religiosi di ogni orizzonte, chiamati spesso a ruoli di responsabilità quando ritorneranno nelle loro diocesi o nelle loro comunità. Se dunque posso, secondo le mie capacità, trasmettere loro ciò che ho io stesso ricevuto, non faccio nient’altro che l’opera, precisamente, della “tradizione” (dal latino “tradere”, trasmettere).


7) Don Giorgio, quale sarà il suo ruolo a Roma? Può un coetus fidelium privo di sacerdote idoneo rivolgersi a lei per la celebrazione della Santa Messa?

Don Giorgio Lenzi:
Per il momento, in quanto economo della Casa San Clemente, mi occupo soprattutto dell’installazione della casa… di tanti aspetti pratici (spesso complicati dal punto di vista burocratico!). É chiaro che sono a completa disposizione per aiutare nei luoghi dove esistono già dei gruppi stabili di fedeli, e questo già lo faccio, ma anche per organizzarne di nuovi anche nel resto d’Italia se è necessario. Abbiamo già diversi contatti… ma non svelerò ancora niente dei progetti in corso, soprattutto che il nostro Istituto desidera che ogni cosa sia fatta nei debiti modi con l’approvazione delle autorità locali, secondo lo spirito della Chiesa.


Nell'agosto 2015, Mons. Athanasius Schneider ha conferito due ordinazioni sacerdotali e due ordinazioni diaconali per l'IBP a San Paolo, in Brasile.