Lettera 83 pubblicata il 28 settembre 2016

IL CANTO DEL POPOLO (1)

Ecco la prima parte del quarto articolo firmato dal Maestro Aurelio Porfiri per proseguire la serie di lettere di Paix liturgique dedicate al rapporto fra la musica liturgica e la forma straordinaria del rito romano. Vi proporremo la seconda parte nei prossimi giorni.

Segnaliamo che il Maestro Porfiri parteciperà a un evento dedicato alla "musica sacra fra tradizione e innovazione”, organizzato dalla casa editrice Chorabooks durante il prossimo pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum. Si tratta di una conferenza con vari interventi tra cui, oltre quello di Aurelio Porfiri, quelli di Mons. Miserachs Grau, direttore della Cappella Liberiana, e dell'arcivescovo di Portland, Mons. Sample, che verrà accompagnata di pezzi musicali (Perosi, Bartolucci, Miserachs, ecc.) interpretati dal coro Note blu del Maestro Marina Mungai. Questo evento si terrà sabato 29 ottobre, alle ore 17, nella chiesa di Santa Maria dell'Orto a Trastevere.


***

Quante volte si è ascoltata la parola "popolo" nel corso dei dibattiti ecclesiastici degli ultimi decenni? Io credo che questa parola sia stata più citata dello stesso nome di Gesù che, in effetti, aveva visto la sua festa (quella del Santissimo Nome di Gesù) anche rimossa dal calendario liturgico nel 1969, prima di venire ripristinata nel 2002, anche se in tono minore.

Gli ecclesiastici sanno, come i politici del resto, che per far passare i propri argomenti devono appellarsi ad una entità che è al di fuori e che può dare validità a qualunque asserzione. Questa entità è il popolo, o la gente. Certamente i politici usano dei sinonimi appropriati, come "gli italiani", allo stesso modo che ascolterete in questi giorni Hillary Clinton o Donald Trump inserire le due parole "American people" ogni mezza frase. Tuttavia, coloro che non si fanno prendere in giro sanno che spesso che nelle cose fatte in nome del popolo, il popolo, quello vero di carne ed ossa, o ci guadagna poco o non ha molto interesse.

Distinguere canto religioso e canto liturgico

Nell'ambito liturgico, quando tante riforme si sono fatte passare in quanto erano "per il popolo", uno dei temi caldi è stato quello del canto religioso popolare. Nei decenni precedenti alla Sacrosanctum Concilium (SC), già si assisteva alla ripresa di interesse per il canto del popolo, questo anche grazie all’indubbia spinta data dall’azione ceciliana. Il loro grido di battaglia, “Che il popolo canti!”, riassumeva gli intenti di un’azione vasta e penetrante, combattuta con i buoni mezzi della stampa e con l’azione pratica sul campo.

Tra i primi del ventesimo secolo e gli anni sessanta, si sfornarono migliaia e migliaia di canzoncine di vario genere, su testi non direttamente biblici (e c’è una ragione per questo che vedremo più avanti). Molti ricorderanno senza dubbio, in ambito italiano, le varie “Voglio chiamar Maria”, “O bella mia speranza”, “Maria che dolce nome”, per rimanere solo nel campo mariano. Per non dire delle canzoncine ancora rimaste nell’uso di moltissime comunità di lingua italiana, quali “Mira il tuo popolo”, “Andrò a vederla un dì”, “Dell’aurora tu sorgi più bella”, “Odo suonar la squilla della sera” e via dicendo. Chi di noi non le ha cantate?

Ebbene, in questo campo specifico, il concilio Vaticano II ha lasciato aperta questa porta (in linea con tutti i documenti precedenti), ma questa porta è stata divelta da un’energia inarrestabile. Io sono dell’opinione che la SC, perfettamente in linea qui con la letteratura liturgica precedente, è stata superata (e di molto) dalle applicazioni immediatamente successive. Sembra complicato, ma non lo è: si è andato molto più in là di quanto la SC aveva prescritto. Insomma, c'è stato un effettivo tradimento.

Partiamo da una citazione della SC che, al paragrafo 118 del capitolo VI, dice: “Si promuova con impegno il canto religioso popolare in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli.” Qualche osservazione: si dice di promuovere con impegno “il canto religioso popolare”. L'espressione va un attimo meditato: stiamo attenti, perché il canto popolare non è il canto liturgico, che, a norma dell’articolo 116 precedentemente già visto, è il canto gregoriano e in subordine la polifonia. Il canto popolare viene definito “religioso”, questo termine, distingue con decente approssimazione un repertorio che non è pensato per esigenze strettamente liturgiche ma per altri momenti devozionali e non (come ribadito nei documenti preconciliari che leggeremo). Si dirà però che nel paragrafo 118 si dice che questo canto può avere posto “nelle stesse azioni liturgiche” ma, ed è importante, “secondo le norme stabilite dalle rubriche.” E cosa le rubriche dicevano fino a quel momento lo vedremo ora.

I documenti ufficiali da San Pio X a Pio XII

Cominciamo, come già precedentemente (leggere qui), dal Motu Proprio di San Pio X “Tra le sollecitudini” (22/11/1903). Al capitolo III, paragrafo 7, dice già qualcosa che non lascia molti spazi di fraintendimento: “La lingua propria della Chiesa Romana è la latina. E’ quindi proibito di cantare in volgare qualsivoglia cosa; molto più poi di cantare in volgare le parti variabili o comuni della messa e dell’officio” (1). Al canto in volgare, si fa qualche accenno più avanti (VI, 21), quando si dice: “Nelle processioni fuori di chiesa può esser permessa dall’Ordinario la banda musicale, purché non si eseguano in nessun modo pezzi profani. Sarebbe desiderabile in tali occasioni che il concerto musicale si restringesse ad accompagnare qualche cantico spirituale in latino o volgare, proposto dai cantori o dalle pie congregazioni che prendono parte alla processione.” Il canto religioso popolare (anche se non è così chiamato esplicitamente), quindi è al di fuori della liturgia solenne.

Nella “Divini cultus sanctitatem” (20/12/1928), papa Pio XI richiama con forza le prescrizioni di Pio X, specialmente laddove si richiede un maggiore e necessario coinvolgimento al canto liturgico del popolo, che dovrebbe consistere in una maggiore partecipazione dello stesso al canto gregoriano, l'obbiettivo essendo che “il canto gregoriano, in ciò che spetta al popolo, sia restituito nell’uso del popolo” (DCS, IX). Successivamente abbiamo la “Mediator Dei” (20/11/1947) di papa Pio XII. Questo documento è indubbiamente uno dei più complessi e articolati sull’argomento liturgico: esso si trova in un periodo molto segnato da mutamenti e spinte in avanti.

La parola solenne del pontefice cerca di stabilire i punti fermi e di arginare possibili deviazioni.

Naturalmente Pio XII incoraggia vivamente la partecipazione dei fedeli al Sacrificio Eucaristico, ma evidentemente si trova a dover confutare idee non conformi alla sua a questo riguardo. Innanzitutto comincia col dire che non si può affermare che tutti i battezzati partecipano con lo stesso sacerdozio alla liturgia, in questo modo svilendo il sacerdozio gerarchico. Certo, anche i fedeli offrono il sacrificio ma in un modo differente: questo è dichiarato dalla Chiesa, è significato dai riti stessi (il sacerdote offre in unione con il popolo), con l’offerta del pane e del vino al sacerdote e per mezzo del sacerdote che agisce in persona di Cristo che è Capo e che fa l’offerta per tutte le membra. Anche in questo documento si ribadisce la necessità di ridare al popolo la possibilità di unirsi ai ministri e alla Schola almeno nelle melodie più semplici del canto gregoriano. C’è però anche un passo significativo sul canto religioso popolare: “Vi esortiamo anche, Venerabili Fratelli, ad aver cura di promuovere il canto religioso popolare e la sua accurata esecuzione fatta con la conveniente dignità, potendo esso stimolare ad accrescere la fede e la pietà delle folle cristiane. Ascenda al cielo il canto unisono e possente del popolo nostro come il fragore dei flutti del mare, espressione canora e vibrante di un sol cuore e di un’anima sola, come conviene a fratelli e figli di uno stesso Padre.” (parte quarta, II). Insomma, si prosegue sulla linea tracciata dagli illustri predecessori, anche se c’è un attenzione maggiore per le moderne istanze che vengono dal Movimento liturgico e finalmente si fa menzione esplicita del canto religioso popolare. (2)

L'importanza dell'enciclica “Musicae sacrae disciplina”

Dello stesso Pio XII è l’enciclica “Musicae sacrae disciplina” (MSD, 25/12/1955). Qui, dopo aver trattato di quella musica che definisce “liturgica” per eccellenza (gregoriano, polifonia) c’è un lungo periodo molto importante: “Ciononostante si deve tenere in grande stima anche quella musica che, pur non essendo destinata principalmente al servizio della sacra liturgia, tuttavia per il suo contenuto e le sue finalità reca molti vantaggi alla religione, e perciò a buon diritto viene chiamata musica “religiosa”. Invero anche questo genere di musica sacra – che ebbe origine in seno alla Chiesa e sotto i suoi auspici poté facilmente svilupparsi – è in grado, come l’esperienza dimostra, di esercitare negli animi dei fedeli un grande e salutare influsso, sia che venga usata in chiesa durante le funzioni e le sacre cerimonie non liturgiche, sia fuori di chiesa nelle varie solennità e celebrazioni. Infatti le melodie di questi canti, composti per lo più in lingua volgare, si fissano nella memoria quasi senza sforzo e fatica, e nello stesso tempo anche le parole e i concetti si imprimono nella mente, sono spesso ripetuti e più profondamente vengono compresi. Ne segue che anche i fanciulli e le fanciulle, imparando nella tenera età questi canti sacri, sono molto aiutati a conoscere, a gustare e a ricordare le verità della nostra fede, e così l’apostolato catechetico ne trae non lieve vantaggio. Questi canti religiosi, poi, agli adolescenti e agli adulti, mentre ricreano l’animo, offrono un puro e casto diletto, danno un certo tono di maestà religiosa ai convegni e alle adunanze più solenni, e anzi nelle stesse famiglie cristiane apportano santa letizia, dolce conforto e spirituale profitto. Per la qual cosa anche questo genere di musica religiosa popolare costituisce un valido aiuto per l’apostolato cattolico, e quindi deve con ogni cura essere coltivato e sviluppato.”

Anche se in pratica si continuano a dire le stesse cose, è sempre più ampia l’attenzione che si dedica alla riflessione sul canto religioso popolare. Anche se verrà ribadito che: “Dove una consuetudine secolare od immemorabile permette che nel solenne Sacrificio Eucaristico, dopo le parole liturgiche cantate in latino, si inseriscano alcuni canti popolari in lingua volgare, gli Ordinari permetteranno ciò 'qualora giudichino che per le circostanze di luogo e di persona tale (consuetudine) non possa prudentemente venir rimossa', ferma restando la norma che non si cantino in lingua volgare le parole stesse della liturgia, come già sopra è stato detto.” (MSD, III)

Citando il codice di diritto canonico, si ribadisce che liturgico è il canto che riveste le parole del messale, e queste parti non possono essere cantate in lingua volgare. Il documento che si sta ampiamente citando, è un documento molto importante e che segna sicuramente un’attenzione e uno sguardo nuovo anche ai vari aspetti della musica sacra. Anche se riconferma l’insegnamento dei suoi predecessori, si avverte nettamente un’attenzione diversa al problema della partecipazione dei fedeli (anche citando i libricini bilingue come buon esempio). Ancora più avanti si dirà:

A questi aspetti che hanno più stretto legame con la liturgia della Chiesa si aggiungono, come abbiamo detto, i canti religiosi popolari, scritti per lo più in lingua volgare, i quali prendono origine dal canto liturgico stesso, ma essendo più adatti all’indole ed ai sentimenti dei singoli popoli, differiscono non poco tra di loro, a seconda del carattere delle genti e dell’indole particolare delle nazioni. Affinché siffatti canti religiosi portino frutto spirituale e vantaggio al popolo cristiano, devono essere pienamente conformi all’insegnamento della fede cristiana, esporla e spiegarla rettamente, usare un linguaggio facile ed una melodia semplice, aborrire dalla profusione di parole gonfie e vuote ed infine, pur essendo brevi e facili, avere una certa religiosa dignità e gravità. Quando abbiano tali doti questi canti sacri, sgorgati quasi dal più profondo dell’anima del popolo, commuovono fortemente i sentimenti e l’animo ed eccitano pii affetti; quando si cantano nelle funzioni religiose dalla folla radunata come una voce sola, con grande efficacia elevano l’animo dei fedeli alle cose celesti.
Perciò sebbene, come abbiamo detto, nelle Messe cantate solenni non possono usarsi senza speciale permesso della Santa Sede, tuttavia nelle Messe celebrate in forma non solenne possono mirabilmente giovare affinché i fedeli assistano al Santo Sacrificio non tanto come spettatori muti e quasi inerti, ma accompagnando l’azione sacra con la mente e con la voce uniscano la propria devozione con le preghiere del sacerdote, purché tali canti siano ben adattati alle varie parti del Sacrificio, come Ci è noto che già si fa in molte parti del mondo cattolico con grande gaudio spirituale. (…)
Non possiamo perciò fare a meno di esortare vivamente Voi, Venerabili Fratelli, a voler con ogni cura e d ogni mezzo favorire e promuovere questo canto popolare religioso nelle Vostre diocesi. Non Vi mancheranno uomini esperti, per raccogliere e riunire insieme, dove già non sia stato fatto, questi canti, perché da tutti i fedeli possano più facilmente venir imparati, cantati con speditezza e ben impressi nella memoria. (…) In tal modo si può sperare di ottenere anche un altro vantaggio, che è nel desiderio di tutti, che siano tolte di mezzo quelle canzoni profane che o per la mollezza del ritmo o per le parole spesso voluttuose e lascive che lo accompagnano, sogliono essere pericolose ai cristiani, ai giovani specialmente, e siano sostituite da quelle altre che danno un piacere casto e puro ed insieme nutrono la fede e la pietà; sicché già qui in terra il popolo cristiano incominci a cantare quel canto di lode che canterà eternamente nel cielo: 'A Colui che siede sul trono dell’Agnello sia benedizione, onore, gloria e potestà nei secoli dei secoli'.
” (MSD, III)

Scusatemi l’ennesima lunga citazione, ma credo era troppo importante per ometterla. Via via che ci inoltriamo nei documenti ufficiali del Magistero, non possiamo non vedere come la figura di papa Pio XII sembra sempre più stagliarsi nettamente come uno dei protagonisti del Movimento liturgico, colui che saggiamente, pacatamente, ha aperto la strada affinché certe istanze fossero definitivamente accolte. L’istruzione “De Musica Sacra et Sacra Liturgia” (3/9/1958) della Sacra Congregazione dei Riti, ribadisce e puntualizza le acquisizioni già notate nei due precedenti documenti di papa Pacelli. Dà indicazioni pastorali che rendono pratiche le direttive dei due documenti citati sopra.

Fino ad adesso possiamo osservare dei punti ricorrenti:
a)
il canto liturgico per eccellenza è il canto gregoriano;
b) la lingua liturgica per eccellenza è il latino;
c) il canto religioso popolare in lingua volgare è incoraggiato sempre di più, ma non ha il suo posto nelle liturgie solenni;
d) esso promana dal canto liturgico ma con un carattere, appunto, più “popolare” così da favorire la partecipazione dei fedeli;
e) non sostituisce il canto liturgico (che usa testi liturgici ufficiali), semmai lo può seguire.

Il Vaticano II, certamente, cercherà di favorire ancora più fortemente la partecipazione dei fedeli. Tutta la SC è un continuo e forte richiamo alla partecipazione più “actuosa”. Viene detto di curare il canto dei fedeli e le risposte, anche se non ci si spinge laddove non ci si può spingere. La lingua liturgica rimane il latino, il canto liturgico il canto gregoriano, il canto in lingua volgare continua ad essere chiamato “canto religioso popolare”. Insomma, la spinta al cambiamento che verrà, va cercata nel contesto delle interpretazioni successive, per cui c'è stata una spinta in avanti che non può che lasciarci perplessi.

-------
(1) In questo commento al motu proprio il concetto viene sempre meglio esplicitato: “Le funzioni liturgiche più comuni, durante le quali non si può eseguire nessun canto in volgare, sono: Messa e Vespero solenni, Processione solenne col SS., Officio e Messa pro defunctis solenni, Officio solenne della Settimana Santa. Nelle funzioni liturgiche, non solenni, come, ad esempio, durante la Messa bassa, si potranno eseguire canti in volgare; similmente prima e dopo della solenne funzione liturgica, purché si tratti sempre di musica confacente con la santità del tempio.” (Mons. Giovanni d’Alessi:  “Il Motu Proprio sulla musica sacra di S.S. Pio X con note illustrative e la costituzione apostolica Divini cultus sanctitatem di S.S: Pio XI”, 4a edizione, a cura dell’Associazione Italiana S. Cecilia, 1934, pag. 108.)

(2) “Fino al 1947, nessun documento ufficiale aveva mai parlato del canto popolare religioso.” (Annibale Bugnini, “Liturgia viva”, editrice Ancora – Milano 1962, pag. 58)