Lettera 118 pubblicata il 22 maggio 2020
SONDAGGIO ROMANO SULLA MESSA TRADIZIONALE
Molto rumore
La Congregazione per la Dottrina della Fede, cui ormai fa direttamente capo il Motu Proprio Summorum Pontificum ed una sezione che svolge ora i compiti prima di competenza della Commissione Ecclesai Dei, ha inviato a tutti i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo una lettera datata 7 marzo 2020, firmata dal cardinal Ladaria, Prefetto della Congregazione (e già presidente della Commissione Ecclesia Dei, in virtù della ristrutturazione voluta da Benedetto XVI), da trasmettere a tutti i Vescovi del mondo. Cui viene chiesto di rispondere ad un sondaggio in 9 domande circa l’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum nelle loro Diocesi. La CEF-Conferenza Episcopale Francese lo ha comunicato ai Vescovi lo scorso 30 aprile 2020.
Questa lettera è stata resa pubblica dal sito americano Rorate Coeli lo scorso 24 aprile ( https://rorate-caeli.blogspot.com/2020/04/breaking-important-summorum-under.html ) ed ha immediatamente infiammato gli animi dell’intero mondo tradizionale in tutti i Continenti – mondo, bisogna dirlo, facilmente infiammabile -, il quale vi ha subito visto una minaccia al Summorum Pontificum.
Naturalmente Paix Liturgique, che non è sorta dall’ultima pioggia postconciliare, guarda sempre con prudente circospezione ad ogni possibile violazione dei «diritti acquisiti» dalla Messa tradizionale. Tuttavia, ritiene che questo sondaggio – sorprendente, è vero – debba essere considerato in modo totalmente diverso.
Qual è l’origine di questo sondaggio?
È una battuta classica dire che il segreto «assoluto», che copre teoricamente le vicende di Curia, è il segreto di Pulcinella. Tranne quando una questione venga trattata da un numero ristretto di persone, come è stato evidentemente in questo caso, dal momento che i semplici «ufficiali» della sezione incaricata del Summorum Pontificum non dovevano saperlo.
Inoltre, molte decisioni delle Congregazioni su punti sensibili sono ispirate da direttive più o meno precise della Segreteria di Stato, come ad esempio lo strano decreto che il cardinale Sarah si è sentito obbligato a firmare il 25 marzo 2020, decreto che ordinava che, in tutti i Paesi toccati dal Coronavirus, le cerimonie della Settimana Santa venissero celebrate senza la presenza del popolo. Ma la lettera del cardinal Ladaria non sembra rispondere ad una domanda della Terza Loggia (il piano della Segreteria di Stato nel Palazzo Apostolico): corrisponderebbe piuttosto ad un desiderio di Santa Marta, cioè del Papa.
In merito bisogna ricordarsi le reazioni provocate dai due decreti, preparati dai responsabili della sezione della CDF-Congregazione per la Dottrina della Fede, incaricata del Summorum Pontificum¸ volti a permettere un certo «arricchimento» della forma tradizionale (7 nuovi prefazi ad libitum e la possibilità, sempre ad libitum, di festeggiare altri Santi, compresi quelli recentemente canonizzati), approvati dal Papa il 5 dicembre 2019, datati 22 febbraio 2020 e resi pubblici il 19 febbraio. Questi decreti, che analizzeremo più avanti, hanno comportato (ne abbiamo parlato nella nostra Lettera 740 dell’8 aprile scorso) un moto di protesta da parte di coloro che si oppongono con maggior determinazione alla liturgia tradizionale. Costoro, alla testa dei quali v’è il professor Andrea Grillo, che insegna all’Università Pontificia Sant’Anselmo, ne hanno approfittato per lanciare il primo aprile 2020 una petizione estremamente virulenta, in cui si chiede che questa liturgia cessi d’avere un proprio status d’eccezione e che venga pienamente sottomessa ai Vescovi diocesani, da una parte, ed alla Congregazione per il Culto Divino dall’altra. In altre parole, hanno chiesto ancora una volta di asservirla ai vescovi, per poi annientarla. Tale attacco è stato mal digerito dal cardinal Ladaria, che ha chiesto una risposta giuridica argomentata a mons. Markus Graulich, Sottosegretario del Consiglio Pontificio per i Testi Legislativi (https://www.riposte-catholique.fr/archives/155420).
Va da sé che tale gruppo di pressione, che conta amici molto in alto, s’è fatto sentire dal Papa. Che è noto come non abbia mai manifestato un interesse particolare verso la Messa tradizionale, né di approvazione, né di odio. Quando è arrivato a Roma, essa rappresentava per lui un fenomeno molto marginale, inconsistente se non in quanto legato alla FSSPX-Fraternità San Pio X, alla quale, invece, egli riconosce, per ragioni complesse, un interesse «politico» evidente. Ha colto, in alcune occasioni, lo spunto per dire che il rito antico, al quale Benedetto XVI secondo lui aveva posto troppa attenzione, era coltivato da qualche vecchio nostalgico e che si doveva lasciarlo morire della sua bella morte, senza preoccuparsene. Tuttavia occorre evidenziare come questi sferzanti giudizi siano stati pronunciati in occasione delle visite ad limina di vescovi, che si lamentavano dello «scompiglio» causato dalle celebrazioni in rito antico nelle loro diocesi. Ed occorre anche evidenziare come ogni volta il Pontefice abbia risposto in sostanza: il Summorum Pontificum non si tocca (ad esempio, ai vescovi di Puglia nel maggio 2013).
È anche noto come un nutrito gruppo di vescovi italiani sia estremamente ostile allo sviluppo di questa liturgia, a differenza dei vescovi francesi, inglesi, americani, tra gli altri, che hanno cercato di «salvare il salvabile» e che, senza particolare simpatia verso la forma tradizionale, han finito per abituarsi alla sua esistenza. Non c’è bisogno di dire che questi prelati italiani, che danno la caccia alla liturgia tridentina, non perdono occasione per far sentire le proprie recriminazioni al Pontefice ed ai suoi stretti collaboratori.
Al punto che Papa Francesco ha finito per rendersi conto che questa liturgia marginale esiste realmente, provocando così tante irritazioni esasperate. Il che, tutto sommato, non gli dispiace. Nel suo modo di governare, ci tiene a fare in modo che quanti pensino di essergli più vicini, non si immaginino accomodati in una situazione ideologica tranquilla. Così, i favori accordati alla FSSPX e lo status mantenuto alla forma extraordinaria sono là per ricordarlo loro.
Ma lui o la sua segreteria personale hanno pensato che sarebbe stato bene avere informazioni esaustive su questa Messa tradizionale, che provoca tanta rabbia, e sulla sua percezione reale, non per qualche vescovo, ma per tutti i vescovi del mondo. E poi, quando si vuole «lasciar andare» una questione difficile, si nomina una commissione e si avvia un procedimento amministrativo d’inchiesta. Tale luogo comune viene attribuito in Argentina a Perón: «Se vuoi trascinare una faccenda all’infinito, nomina una commissione d’inchiesta»; ora, non dimentichiamo che papa Francesco è argentino… L’inchiesta dà d’ora in avanti la possibilità di rispondere a chi se ne lagni che ci si occupa della questione per vedere di che si tratti. Tuttavia, secondo una tradizione alquanto curiale, la lettera del cardinal Ladaria è datata 7 marzo, anteriore quindi alla petizione di Grillo, per non dare l’impressione che l’una abbia provocato l’altra.
Ce ne si occupa, ma senza una fretta eccessiva. La lettera del cardinal Ladaria chiede che le risposte dei vescovi – nella misura in cui essi si prenderanno la briga di rispondere – devono arrivare prima del 31 luglio. Ovvero quando la Curia entra nel suo profondo sonno estivo. In seguito, al rientro, la piccola sezione della CDF incaricata del Summorum Pontificum, a priori favorevole al Vetus Ordo, dovrà per molti, lunghi mesi classificare, studiare, riassumere un’enorme mole di risposte in tutte le lingue (supponendo che 2.500 dei 3.100 Ordinari di tutto il mondo rispondano alle 9 domande, si avrebbero oltre 20 mila risposte da elaborare, alcune delle quali potrebbero anche essere lunghe).
Le domande poste ai vescovi
Circa le risposte chieste per le nove domande, tra le quali se ne ritrovano anche alcune di quelle poste ai vescovi sulla forma extraordinaria del rito romano durante le visite ad limina, esse mirano a sapere due cose:
- Qual è lo status quaestionis in proposito nella diocesi?
- Quali sono le opinioni del vescovo sul Summorum Pontificum?
Il o i redattori vogliono essere obiettivi, ma sono manifestamente benevoli nei confronti della liturgia tradizionale, come indica la domanda 5 (“Le sembra che, nella Sua diocesi, la forma ordinaria abbia adottato elementi della forma extraordinaria?”), che evoca questo fatto spesso rilevato: la celebrazione della forma extraordinaria induce i sacerdoti diocesani che l’utilizzano a celebrare meglio la forma ordinaria e ad «arricchirla», in breve a praticare una certa «riforma della riforma».
La redazione della seconda domanda («Se la forma extraordinaria vi è praticata, essa risponde ad un’autentica esigenza pastorale o viene promossa da un solo prete?») è invece maldestra e poco comprensibile ed è un peccato, poiché giunge, senza affrontarlo veramente, al processo fondamentale del Summorum Pontificum: certo, nulla impedisce, nello spirito e nella lettera del Summorum Pontificum, che l’iniziativa possa partire da un prete, ma le richieste per le Messe provengono normalmente da gruppi di fedeli ai parroci (e non ai vescovi), i quali sono liberi di rispondervi. La domanda 6 («Per la celebrazione della Messa, utilizza il Messale promulgato da papa Giovanni XXIII nel 1962?») si riferisce verosimilmente al fatto che in certi luoghi viene utilizzato un messale un po’ ibrido, che s’ispira alle cosiddette rubriche del 1965, contrariamente alla lettera del Summorum Pontificum.
Ecco il questionario:
1. Qual è la situazione nella Sua diocesi per quanto concerne la forma extraordinaria del rito romano?
2. Se la forma extraordinaria vi è praticata, essa risponde ad un’autentica esigenza pastorale o viene promossa da un solo prete?
3. Secondo Lei, quali sono gli aspetti positivi e negativi del ricorso alla forma extraordinaria?
4. Le norme e le condizioni stabilite dal Summorum Pontificum vengono rispettate?
5. Le sembra che, nella Sua diocesi, la forma ordinaria abbia adottato elementi della forma extraordinaria?
6. Per la celebrazione della Messa, utilizza il Messale promulgato da papa Giovanni XXIII nel 1962?
7. Oltre alla celebrazione della Messa nella forma extraordinaria, vi sono altre celebrazioni (ad esempio, battesimo, cresima, matrimonio, penitenza, unzione degli infermi, ordinazioni, ufficio divino, Triduo pasquale, funerali) secondo i libri liturgici anteriori al Concilio Vaticano II?
8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum ha avuto un’influenza sulla vita dei seminari (il seminario diocesano) e delle altre case di formazione?
9. Tredici anni dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum, quel è il Suo giudizio sulla forma extraordinaria del rito romano?
La liturgia tradizionale non ha bisogno di permessi per esistere
Quando si accenna a queste argomentazioni sulle autorizzazioni romane per celebrare la liturgia tradizionale, è sempre importante non cadere nel gioco del «è permesso, potrebbe non esserlo più», pensando che la sua esistenza dipenda da tali permessi. Di fatto, la Messa tridentina era stata proibita dalla riforma di Paolo VI. Malgrado questo divieto, grazie ai fedeli, ai preti, a due vescovi essa è vissuta e si è sviluppata al punto che la Roma conciliare «moderata», rappresentata specialmente dal cardinale Ratzinger, più tardi Benedetto XVI, ne ha riconosciuto, per tappe, nel 1984, 1988, 2007, la legittimità. È dunque per il fatto che i suoi fruitori siano stati convinti, in nome del senso della fede, della legittimità della liturgia tradizionale che le autorità del dopo-Concilio l’hanno alla fine riconosciuta come legittima.
Naturalmente, questi testi successivi le hanno permesso di svilupparsi ancor più, in particolare il Summorum Pontificum, che ha cambiato l’utilizzo del messale tridentino dallo status mal definito di privilegio a quello di diritto. Da allora, in dieci anni, fino al 2017 - Paix Liturgique l’ha stabilito nel dettaglio – il numero dei luoghi di culto tradizionali «autorizzati» è raddoppiato nel mondo: negli Stati Uniti, 530 luoghi di culto tradizionale nel 2019 contro i circa 230 del 2017; in Germania 153 contro 54; in Polonia, 45 contro 5; in Inghilterra e nel Galles, 147 luoghi di culto per la forma extraordinaria nel 2017 contro i 26 del 2007; in Francia, 104 luoghi di culto tradizionale nel 2007, 235 nel 2019, ai quali si aggiungono oltre 200 luoghi di culto della Fraternità San Pio X (fonte: la nostra Lettera n.601, 16 luglio 2017 + i dati più recenti).
Di questo libero sviluppo v’è da render grazie a Benedetto XVI, ma v’è da render grazie anche a chi l’ha preceduto e che l’ha reso possibile per la folla di fedeli «resistenti», grazie alla coorte dei preti tradizionali, a mons. Lefebvre, a mons. de Castro Mayer. Questo mondo - per non parlare che della sola Francia, ma si potrebbe anche richiamare la sua affermazione negli Stati Uniti con l’1% dei luoghi di culto, dei fedeli di età nettamente più bassa della media - «produce» ogni anno tra il 15 ed il 20% delle ordinazioni di preti assimilabili ai sacerdoti diocesani. A questo si devono aggiungere le comunità religiose di uomini e donne caratterizzate da questa liturgia ed una rete di scuole fuori contratto, le cui cappellanie sono assicurate da preti che celebrano la Messa tradizionale. Quanto alle sue possibilità di futura estensione, possono essere valutate da una serie di sondaggi commissionati da Paix liturgique tra il 2006 ed il 2016 (11 sondaggi per la storia, Les Dossiers d’Oremus – Paix Liturgique, 2018). Se dunque le risposte dei vescovi del mondo al questionario della CDF saranno oneste, esse confermeranno – ed, a dire il vero, il solo fatto che tale inchiesta sia stata lanciata, lo conferma – un fatto imponente: 50 anni dopo la riforma liturgica, il culto tradizionale, certamente minoritario, fa parte del paesaggio. Coesiste con il rito nuovo con una vitalità sorprendente. Con una irriducibile vitalità.